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Il Cretto Grande
12.4 > 5.5.2018

A 50 anni dal terremoto del Belice, Massimo Siragusa, fotografo siciliano, non ha saputo resistere al richiamo di un angolo tanto affascinante della sua terra. È andato a fotografare il Cretto di Burri, che prese il posto della città di Gibellina, rasa al suolo dal sisma. Con l’intervento dell’artista le macerie del centro abitato della cittadina originale furono cementificate e trasformate nell’opera di land-art più grande del mondo. A partire dai primi anni Settanta Burri aveva realizzato cretti di dimensioni ridotte: si trattava di superfici che ricordano le fessurazioni delle terre argillose, quando la siccità raggiunge il suo apice. A Gibellina ne realizzò uno gigante, come un enorme sudario.

«Quando andai a visitare il posto, in Sicilia, il paese nuovo era stato quasi ultimato ed era pieno di opere. Qui non ci faccio niente di sicuro, dissi subito, andiamo a vedere dove sorgeva il vecchio paese. Era quasi a venti chilometri. Una stradina tortuosa, bruciata dal sole, si snoda verso l’interno del trapanese fino a condurci, dopo chilometri di desolata assenza umana, ad un cumulo di ruderi. Ne rimasi veramente colpito. Mi veniva quasi da piangere e subito mi venne l’idea. […] Io farei così: compattiamo le macerie che tanto sono un problema per tutti, le armiamo per bene, e con il cemento facciamo un immenso cretto bianco, così che resti perenne ricordo di quest’avvenimento. Ecco fatto!» (Alberto Burri, 1995)

Al posto delle strade di Gibellina, il fotografo trova i solchi riprodotti a loro memoria, con le superfici chiare così materiche sotto i raggi del sole, che ben si lasciano accarezzare dal suo obiettivo e sono certamente congeniali alla sua tecnica, in grado di eliminare ogni ombra superflua e di celebrare la luce.

L’approccio è quello di un viaggiatore, di un uomo in cammino che ascolta il proprio respiro: ne troviamo l’emozione nel racconto dell’esperienza che ne fa lui stesso, un viaggio attraverso la materia, magia, il dolore, il tempo.

Ecco cosa scrive Massimo del suo arrivo sul luogo: “il Cretto di Burri appare di colpo, appena dopo una curva. E’ una visione impressionante, surreale. Un lenzuolo adagiato sul verde della collina. Burri ha trasformato la tragedia in opera d’arte”. E ancora: “il Cretto è un esercizio di cristallizzazione della memoria e del dolore. Ne è scaturita un’orma, come un sudario sulle macerie di quel piccolo

borgo. Il Cretto è pura magia” e in quella magia il fotografo si ferma ad ascoltare il vento tra le pieghe della materia. Per lui, quel luogo è “labirinto, architettura, monumento, sogno”.

Il Cretto ruvido e poroso, esposto alle intemperie, mostra i segni dell’età, ha perso il suo candore e lascia che le crepe si aggiungano alla rugosità e le piante crescano dove il cemento si è spaccato leggermente. “Il Cretto è tempo. Un tempo congelato ma anche subìto. Gli anni hanno creato delle ferite nella materia.” Anche su questo aspetto di materia quasi vivente Massimo Siragusa sembra posare uno sguardo partecipe, pieno di emozione, che vuole toccare e immergersi in quelle forme, per tornare a ricordare.

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Massimo Siragusa
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Massimo Siragusa
Gibellina vecchia (Trapani), febbraio 2016 - Cretto di Burri
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