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Luca Campigotto

Per circa vent’anni ho fotografato soltanto in bianco e nero, lavorando in camera oscura con lo zelo di un iniziato. Sentivo il bianco e nero come una disciplina ferrea, zen, su cui non si poteva transigere. Solo il bianco e nero era una cosa seria, poetica, profonda – e il colore solo un gioco. Poi, nel 2006 ho iniziato a stampare le mie immagini in digitale e da quel momento ho cominciato a fotografare sistematicamente a colori, lasciandomi rapidamente alle spalle una lunga e magnifica ‘clausura’. Lavorando i file ho trovato via via il mio colore, a tratti fortemente desaturato e livido, altre volte denso e carico come in un fumetto. Grazie ai colori mi son sentito progressivamente più libero – di provare soluzioni diverse, di cambiare e di rischiare. Il computer mi ha aperto la testa e modificato il gusto, mentre in fase di ripresa non ho cambiato atteggiamento.
Precisione dell’inquadratura, attenzione nel visualizzare l’immagine, cura nel calibrare le stampe – queste cose sono sempre indispensabili al mio modo di fare fotografia. La lentezza vagamente cerimoniosa della macchina in grande formato montata sul cavalletto mi è sempre piaciuta e, oggi come ieri, cerco di costruire un’immagine potente, che abbia anche una forma di classicità che duri nel tempo, al di là delle mode. Cerco sempre di combinare la tensione compositiva dell’inquadratura con la forza suggestiva di un colpo di luce. Le mie corde non sono certo minimaliste, né davvero documentarie. La fotografia che amo e che inseguo è implacabile come una fucilata. Grazie al computer, ho tralasciato subito i toni pastello di tante immagini da cui son cresciuto circondato, e posso ottenere quel colore bastardo, spesso innestato di grigi,che ho sempre avuto in mente. Un colore cinematografico, da reinventare ogni volta. Da vero rinnegato posso ammettere ora di aver sempre ‘visto a colori’ ma, un tempo, solo la trasposizione in bianco e nero mi pareva desse nobiltà alla visione. Il bianco e nero è un linguaggio perfetto, sublime e autoreferenziale. La sua sostanza, fatta di memoria e struggimento, incarna il senso più autentico della fotografia e garantisce una coerenza che il colore mette continuamente in discussione. Il colore è un mare magno in cui perdersi: non a caso “il mondo è a colori, e non possiamo farci niente”, dice William Eggleston.
Negli ultimi anni, mi sono allontanato dall’universo senza tempo del bianco e nero per esplorare la dimensione ‘mortale’ delle fotografie a colori – che invecchiano così presto e che facilmente possono essere datate. Nella mia immaginazione, son caduto dal cielo nero del Dio della chimica per incamminarmi su una strada terrestre. Ma sono un fotografo – una persona per definizione condannata alla nostalgia – e magari domani, proprio grazie al digitale e alle sue magie, cercherò di tornare indietro per creare un’immagine che somigli a una vecchia stampa all’albumina, a una carta salata disseminata di macchie.
Determinato a nuotare, comunque, in quel visibile che resta meravigliosamente solo verosimile, mai fino in fondo reale. Un’altra sequela di ricordi messi in scena, un’altra scatola di fotografie.
Luca Campigotto

Luca Campigotto è nato a Venezia nel 1962, vive e lavora tra New York e Milano.
Laureato in Storia Moderna, da oltre vent’anni lega la propria ricerca al tema del viaggio, fotografando il paesaggio e l’architettura. Ha realizzato progetti su Venezia, Roma, Napoli, Il Cairo, Londra, New York, Chicago, Tokyo, la Strada delle Casbah in Marocco, Angkor in Cambogia, il deserto di Atacama in Cile, la Patagonia, l’India, l’Isola di Pasqua, lo Yemen, l’Iran, la Lapponia.
Ha esposto a: Mois de la Photo e MEP, Parigi; Somerset House, Londra; Galleria Gottardo, Lugano; IVAM, Valencia; The Art Museum e The Margulies Collection at the Warehouse, Miami; CCA, Montreal; MOCA, Shangai; Biennale di Venezia, Palazzo Ducale e Museo Fortuny, Venezia; MAXXI, MACRO, Museo del Vittoriano e Festival della Fotografia, Roma; Palazzo della Ragione e Museo della Scienza e della Tecnica, Milano; MART, Rovereto.
Sue opere fanno parte di collezioni private e pubbliche, tra cui: Maison Européenne de la Photographie, Parigi; Canadian Centre for Architecture, Montreal; Progressive Collection, Cleveland; The Margulies Collection at The Warehouse, Miami; The Sagamore Collection, Miami; Collezione Unicredit Group, Milano; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; Metropolitana di Napoli; MAXXI, Roma; Museo Fortuny, Venezia; Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, Varese; Fondazione Cassa di Risparmio di Modena; Galleria Civica, Modena; Museo della Fotografia, Cinisello Balsamo; Museo Civico, Riva del Garda; CRAF, Spilimbergo.
Ha pubblicato: Teatri di guerra, Silvana, Milano 2014; Gotham City, Damiani, Bologna 2012; My Wild Places, Hatje Cantz, Ostfildern 2010; Le pietre del Cairo, Peliti Associati, Roma 2007; Venicexposed, Contrasto, Roma / Thames&Hudson, Londra / La Martinière, Parigi 2006; L’Arsenale di Venezia, Marsilio, Venezia 2000; Molino Stucky, Marsilio, Venezia 1998; Venetia Obscura, Peliti Associati, Roma / Dewi Lewis, Stockport / Marval, Paris 1995.
Suoi lavori sono apparsi su: The New York Times Magazine, Dazed and Confused, The Wall Street Journal, Vogue, Le Monde, Liberation, le Parisien, The Independent, Frankfurter Allgemeine Zeitung, DAMN, AD France, Vanity Fair, Traveller, Il Corriere della Sera, La Repubblica, Domus, Abitare, Casabella, D’Architettura, FMR, Arte, Sette, D Donna, Io Donna, Amica, Lettera Internazionale, Nuovi Argomenti, Flair, Panorama, L’Espresso, Modo, L’Unità, Lo Specchio, Il Gazzettino, Linea d’ombra, Il Sole 24ore, Fotologia, Photo, Fotopratica, Photographia, Reflex, Rangefinder…

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Luca Campigotto
Marghera
Archival Pigment Print
cm 137,5 x 110
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Fotografie di Luca Campigotto
28.3 > 17.7.2015
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a cura di Giovanna Calvenzi
17.5 > 2.10.2013